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”Le agenzie che hanno suddiviso la Terra in percorsi, in soggiorni, in club accuratamente preservati da ogni prossimità sociale indesiderata, che hanno trasformato la natura in un prodotto, sono le prime responsabili della trasformazione del mondo in finzione, della sua derealizzazione – in realtà, della conversione degli uni in spettatori e degli altri in spettacolo.”

Marc Augé, in ”Disneyland e altri nonluoghi”

lijiang yunnan cina

Avevo delle aspettative altissime riguardo allo Yunnan. Certamente era la regione che più mi interessava scoprire all’interno dell’immenso territorio cinese: sognavo cittadine fantastiche, scenari ai confini del reale tra valli e vette che superano i 3000m, nonché una quotidianità che vede protagoniste le minoranze etniche. Ben presto però si è prospettata una realtà diversa da quella che immaginavo: a disilludermi Lijiang, prima tappa del mio viaggio nella provincia.

La cittadina, che si trova nella parte settentrionale dello Yunnan, dove sono giunta dopo i giorni nel Sichuan che ho raccontato quiqui, mi ha immediatamente spiazzata. Piacevole è piacevole, per una passeggiata tra canali e ponticelli. Bella è bella, non si può infatti dire che non lo sia con quelle sue case tradizionali accuratamente ristrutturate, con quei suoi vicoli fioriti e tutto ciò che una moderna cittadina, aperta al turismo di massa, non può non avere.

Nessuno vive nel centro di Lijiang, che viene definito Old Town ma che di old conserva ben poco. E’ un susseguirsi di ristoranti e bar, nei quali il costo delle consumazioni arriva spesso a superare quello dei locali di una qualsiasi località italiana. Vi sono tante di quelle botteghe poi, che vendono tutte la stessa merce, che certamente non salterebbe agli occhi se si trovasse sugli scaffali di un negozietto in un angolo o nell’altro della nostra Europa, ormai abituata al Made in China che a Lijiang non ha certo prezzi allettanti. E, seppure qua e là dell’artigianato si trova, non conviene affatto cedere alla tentazione, perché altrove l’offerta è senz’altro migliore, almeno per il portafoglio.  

Anche i naxi – minoranza di origine tibetana che da secoli si è stanziata nell’area in cui sorge Lijjiang – e soprattutto i loro usi e costumi sono diventati parte del business. E’ facile, camminando nel labirinto che è la cittadina, imbattersi in spettacoli di vario genere, che vedono come protagonisti cinesi (probabilmente han) nei panni dell’etnia locale: suonano strumenti musicali, danzano, da soli oin gruppo, indossando abiti che lasciano immediatamente intendere il travestimento messo in atto.  

lijiang yunnan cina
lijiang cina

Peccato poi che i veri naxi da tutto questo non ottengano alcun beneficio. Anzi, non è raro nemmeno incontrare qualche donna che, appostata proprio là dove c’è più passaggio, si presta a qualche scatto in cambio di pochissimi yuan, soprattutto se nota una bella fotocamera!

Ecco, Lijiang non mi è parsa semplicemente molto turistica, come si può intendere leggendo quanto ho scritto fin’ora. Se vogliamo dirla tutta poi, questo discorso – turistico, non turistico… – non so neanche se abbia grande senso. No, Lijiang mi ha dato un’altra idea, ben precisa, quella di essere una sorta di parco a tema e come tale estremamente costruita: al suo interno infatti la finzione non solo è ammessa, ma sembra proprio essere ricercata. Tanto per fare un esempio, tutti quei gruppi di cinesi, incantati dai naxi che poi naxi non sono, cui accennavo prima…  

Come in ogni parco a tema, anche per entrare a Lijiang bisogna pagare un biglietto che costa ben 80Y ovvero più di 10 Euro, a meno che non si trovi il modo di eludere la sorveglianza. Ecco, sembra sia possibile, ma non poi così facile: come in altre città cinesi, vi sono degli appositi ingressi, presidiati da due o tre persone che emettono biglietti che permettono di entrare ed uscire da un’area ben definita e delimitata della città vecchia.  

Molto spontaneamente, ad un certo punto, mi sono chiesta che cosa ci facessi lì, a Lijiang. E così sono uscita dal recinto, per spingermi in aree meno centrali della città e raggiungere persino qualche villaggio che si trova nei dintorni. Le situazioni che ho trovato non hanno nulla a che vedere con ciò che avevo visto fino a quel momento.

Nelle aree più periferiche di Lijiang, la gente va al mercato, fa taichi e tanto altro. Così come nei villaggi, dove la vita si svolge per lo più in contesti rurali ed è dettata dal lavoro nei campi, oltre che dall’allevamento degli animali. A fare eccezione Baisha e Shuhe, due località a pochi chilometri da Lijiang: anche lì la finzione ha ormai preso il sopravvento o forse dovrei dire che è stata imposta.  

lijiang cina
lijiang yunnan cina

Qualcosa avevo già intuito non appena sono arrivata nel Paese e mi sono trovata a pagare i primi biglietti per accedere a vari siti d’interesse. A Lijiang però ho proprio avuto la conferma di un’idea che dall’inizio del viaggio mi frullava per la testa. La Cina, più di molti altri Paesi dove sono stata, sa sfruttare il potenziale di un business come quello del turismo. In questo non c’è nulla di male, credo. Il problema – secondo me – nasce quando quel potenziale viene sfruttato fino all’eccesso, giocando sulla tradizione per creare finzione.  

Tempo fa mi è capitato di leggere Marc Augé e di confrontarmi con il concetto di non-luogo. Di fronte a ciò che è Lijiang le sue parole mi sono tornate alla mente e credo calzino a pennello, pensando la Repubblica Popolare Cinese come agenzia che è responsabile di una finzione creata per spettatori, spettatori tra l’altro quelli cinesi il cui potere d’acquisto sembra cresciuto enormemente negli ultimi anni…    

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”In un’epoca in cui viaggiare è prerogativa di molti, credo che sia ancora possibile percorrere vie sconosciute, rendendole solo nostre: sono convinta infatti che oggi le grandi esplorazioni debbano essere anche e soprattutto interiori.”