Alle 5.30 del mattino ho lasciato l’ostello, alla ricerca di un tassista che mi portasse alla stazione degli autobus. Era ancora buio, i lampioni illuminavano la strada e piovigginava. Con gli occhiali appannati, ho cercato di guardare da una parte e poi dall’altra, ma non sono riuscita a scorgere neanche l’ombra di un taxi. Non mi rimaneva che muovermi verso la stazione della metropolitana e aspettare che i mezzi prendessero servizio.
All’improvviso ne ho visto sbucare uno, che si è fermato per fare scendere qualcuno proprio sull’altro lato della strada. Ho fatto un cenno, in modo da attirare l’attenzione di chi era alla guida. Non sapevo se avesse inteso. Ho dunque aspettato, seguendo con lo sguardo l’andamento della macchina. Arrivato alla rotonda, ha invertito la marcia e mi è venuto incontro.
Nel giro di un quarto d’ora ero arrivata a destinazione. Dovevo solo capire come ritirare i biglietti che avevo acquistato on-line. Mi sono messa dunque subito in coda. Attendendo, attendendo, attendendo, finalmente è arrivato il mio turno e chi stava al di là del vetro mi ha fatto capire che per stampare i biglietti dovevo semplicemente usare la macchinetta automatica.
Ho cercato di capire, ma la cosa non mi è parsa immediatamente così intuitiva. Fortunatamente in mio soccorso è arrivata una signora che nel giro di 30 secondi, digitando il codice che vedeva sul mio voucher, ha risolto il problema e mi ha anche mostrato che – nel caso avessi dovuto ripetere l’operazione altrove – potevo impostare come lingua l’inglese.
Alle 7.30, puntualissimo, l’autobus è partito. Il mio posto era il numero 7 e seduta accanto a me c’era una ragazza cinese che doveva avere più o meno la mia età. Nel corridoio, invece, c’era un uomo sulla cinquantina che – diciamo così – faceva da assistente all’autista. Non eravamo ancora partiti e già aveva iniziato a parlare così velocemente che nell’arco di pochi minuti mi aveva praticamente stordita; e poi il suo tono mi è parso quello di chi è arrabbiato. Me ne sono stata buona per un po’, poi ho tentato di comunicare con la ragazza seduta accanto a me, per capire cosa stesse accadendo.
Non ci credevo, ma alla mia domanda di una traduzione di ciò che l’uomo stava dicendo, ho ricevuto una risposta, in una lingua familiare, l’inglese. Stupita, l’ho guardata e le chiesto conferma del fatto che parlasse inglese, come se non lo avesse già dimostrato, dicendomi che l’uomo di fronte a noi stava semplicemente – e molto tranquillamente! – affermando che una volta arrivati a Jiuzhaigou avremmo dovuto già acquistare i biglietti per tornare indietro, nel caso non lo avessimo già fatto.
E così che io e la ragazza (di cui purtroppo non riesco a ricordare il nome!) abbiamo iniziato a conversare del più e del meno, del fatto che conoscesse l’inglese perché le serve nel suo lavoro nel campo della logistica, del fatto che non dovessi pensare che oggi in Cina nelle scuole non si studino le lingue straniere, perché non sarebbe così, perché semplicemente i giovani avrebbero timore di esprimersi in una lingua che non è la loro. Abbiamo parlato del mio giro del mondo, del mio lungo viaggio in Cina, che l’ha stupita, del fatto che mi considera coraggiosa e del fatto che secondo me non ci vuole poi così tanto coraggio, soprattutto in un Paese come il suo, dove mi sono sempre sentita al sicuro.
Ad un certo punto, come gli altri cinesi sull’autobus, compresi i suoi genitori, anche lei si è messa a frugare in uno zainetto. Anche lei doveva mangiare. E così, alle dieci del mattino ha tirato fuori una bustina di plastica trasparente, al cui interno c’era evidentemente della carne. Poi, sempre dallo zainetto, ha tirato fuori anche due guantini di plastica, di quelli che si usano al supermercato per prendere frutta e verdura. Ed ecco che ha affondato le mani nella bustina di plastica, per tirare fuori quelle che ho scoperto essere alette d’anatra, in una bella salsina rossa! Prima di addentarne una, mi ha chiesto se volessi assaggiare, già pronta a prendere dei guantini anche per me. Ho rifiutato gentilmente, spiegando di aver fatto colazione poco prima della partenza.
Un’oretta dopo il bus si è fermato, per l’ennesima volta. Ai genitori della ragazza non sembrava vero che ci fosse una specie di baracchino che vendesse spiedini di carne cotti al momento. Io e lei, insieme alla madre, siamo rimaste sul bus, mentre il padre è sceso immediatamente. Quando è tornato, ho visto che tra le mani aveva ben quattro spiedini: uno per lui, uno per la moglie, uno per la figlia ed uno per me! Non potevo tirarmi indietro e così l’ho mangiato, anche se in viaggio preferisco evitare la carne. Devo dire che era buonissimo e che ne avrei volentieri mangiato un altro!
Man mano che si procedeva, ciò che vedevo si faceva sempre più interessante. Iniziavo infatti a scorgere le montagne e persino qualche villaggio tibetano con le tipiche bandiere di preghiera che aggiungevano pennellate di colore al paesaggio, già spettacolare nelle sue tonalità. Il cielo non era propriamente azzurro e qualche nuvola nascondeva le cime delle montagne tra le quali l’autobus si muoveva veloce. Foreste, foreste e ancora verdi foreste a coprire i rilievi. C’erano anche dei pascoli e quelli che credevo essere degli yak, che invece si sono rivelati delle mucche dal pelo lungo. Finalmente la Cina che volevo vedere, quella degli spazi infiniti, sconfinati, che chissà ancora per quanto rimarranno tali. Gru e cantieri, onnipresenti oggi nel Paese, erano infatti ben poco distanti.



Mancava pochissimo ormai. La strada però si stava facendo sempre più impervia: tornanti e curve a gomito, una dopo l’altra, minimo una dozzina. La mamma della ragazza si è persino sentita male. Anche io mi sentivo un po’ scombussolata, ma nulla di ché. In parte era anche colpa di chi era alla guida, che per qualche strano motivo aveva fretta e sorpassava tutti i colleghi che si trovava davanti.
Dopo ben otto ore, sani e salvi, siamo arrivati a Jiuzhaigou. Dopo l’ultimo grugnito e l’ultimo sputo, l’autista ha finalmente fermato l’autobus. Io avevo scorto l’ostello dal finestrino mentre eravamo ancora in corsa e sapevo dunque in che direzione andare. Loro, invece, hanno preso un taxi.
Alla reception mi ha accolta una ragazza che, dopo le solite formalità, mi ha consegnato chiave della camerata, lenzuola e coperte, dicendomi che dovevo andare – a piedi! – al quinto piano, ovvero sul tetto! Sono andata dunque e una volta in cima, individuata la porta giusta, ho aperto. Come era possibile che tutti i letti fossero occupati?! A quel punto mi è toccato tornare alla reception, con lenzuola, coperte e zaino sulle spalle. La ragazza si era sbagliata…
Quella sera sono scesa di nuovo giusto per farmi preparare qualcosa da mangiare. In camerata, qualche ora dopo, mi hanno raggiunta tre curiose ragazze coreane. Quando hanno visto che oltre alle lenzuola e alle coperte avevo anche il mio sacco a pelo, si sono messe a ridere, pensando che non avessi notato la coperta elettrica. In realtà nel mio letto la coperta elettrica non c’era proprio! Gliel’ho detto e loro hanno risposto con un sonoro <<Ohhhh!’>> e mi hanno lasciata dormire, piuttosto imbarazzate.
La notte è trascorsa velocemente, senza patire troppo il freddo. Alle 7 però, riposata, ero già pronta per la colazione e per portarmi entro i confini del Parco Nazionale di Jiuzhaigou. Speravo, uscendo così presto, di evitare la solita folla cinese, invece… Il bus sul quale sono salita per raggiungere il cuore del parco era stracolmo! Oltretutto c’era pure una guida evidentemente preposta a raccontare del parco e a dispensare consigli con una voce che giungeva alle mie orecchie squillante!
Fortunatamente i cinesi si sono fermati immediatamente per fare i soliti selfie. Io invece mi sono messa subito in cammino, per trovare un po’ di quiete. E’ bastato allontanarsi di qualche centinaio di metri per poter godere appieno del paesaggio del parco, che era semplicemente surreale: si percepiva una pesante umidità, che si era posata sulle vette, sugli alberi e persino sulla superficie dei laghi. Che colori incredibili quelli che vedevo, nonostante la strana nebbia che percepivo: un verde scurissimo, quasi nero, un turchese intenso, fino a giungere al giallo più profondo e agli altri colori dell’autunno, che era alle porte.


Ho camminato tutto il giorno, costeggiando laghi e laghetti, passando accanto a cascate più o meno maestose, per poi giungere ad un villaggio tibetano che mi è parso mantenere un non so ché di genuino. Non era come gli altri villaggi nei quali mi sono imbattuta nei pressi del centro visitatori, ormai composti da una manciata di abitazioni per lo più adibite a ristoranti o negozietti di souvenir. Nei campi apparentemente coltivati, adiacenti a case piuttosto spartane, altre bandiere di preghiera. E poi una signora nei suoi abiti tradizionali, schiva, talmente schiva che quando mi ha vista si è allontanata.
Che effetto ha il turismo sulla popolazione locale, tra l’altro tibetana? Ho lasciato il parco proprio mentre il sole stava per tramontare, pensando a quella signora e a tutte le signore e signorine cinesi (senz’altro han) che quel giorno avevo visto nel parco, molte delle quali intente a vestire gli abiti dell’etnia locale…
Dopo un’altra notte nel mio sacco a pelo, avvolta da mille lenzuola e coperte, finalmente la gita al Parco Nazionale di Huanglong. L’autobus doveva fermarsi davanti all’ostello verso le 8, eppure alle 8.30 ero ancora lì, nell’area comune. Non ero l’unica ad aspettare, come me, infatti, anche Gae e Amit, una coppia israeliana. Tutti insieme ci siamo rivolti alla ragazza alla reception, che non ha esitato a contattare l’autista: è emerso che ci stava aspettando da oltre mezz’ora in un parcheggio a 500m dall’ostello!
Mezz’ora prima di scendere dall’autobus è salita a bordo una signora che con tono severo ha detto di coprirsi bene, di non bere troppa acqua e di acquistare dell’ossigeno alla modica cifra di 140Y, poiché il parco si trova a quasi 4000m di altitudine! Chiaramente non ho imparato il cinese nell’arco di due settimane: sul bus ho incontrato nuovamente la ragazza che aveva fatto da interprete già il giorno precedente, insieme ai suoi genitori!
Dopo circa tre ore, arrivati a Huanglong, tutti insieme, abbiamo preso la funicolare, per raggiungere la parte più alta del parco e quindi scendere a piedi. Già dopo dieci minuti di camminata, a distanza, abbiamo potuto scorgere le prime piscine naturali, azzurrissime. E’ stato necessario proseguire una mezz’oretta per avvicinarci e vedere un tempio e tutt’intorno pozze d’acqua coloratissime. Poi altre pozze e tante cascate, fino all’uscita del parco, dove siamo arrivati giusto in tempo per prendere l’autobus che ci avrebbe riportati a Jiuzhaigou.


Durante il pranzo, al sacco, Gae e Amit si sono rivelati ormai completamente avvezzi ad alcune diavolerie cinesi: non volendo mangiare freddo, già la sera precedente si erano procurati una di quelle vaschette rosse contenenti riso e carne che si autoscaldano, senza necessità di ricorrere a fornelli e microonde! Gli ho chiesto se sapessero quale strano meccanismo ci fosse dietro, ma la loro risposta è stata negativa, così come quella della ragazza cinese e dei suoi genitori. Diavolerie cinesi, sì!!!
Risaliti sull’autobus, ci siamo resi conto di essere stati fortunati: seppure durante la nostra visita non abbiamo potuto godere di un cielo sereno, almeno non ha piovuto e soprattutto nevicato. Mentre ci allontanavamo da Huanglong, infatti, il paesaggio stava cambiando colore ovvero era sempre più bianco.
Salutati tutti, appena arrivata in ostello, ho cenato e durante quella cena non avrei potuto ridere di più. Alla reception sono arrivati due ragazzi che chiedevano di avere un’altra coperta, perché evidentemente si erano resi conto che non c’era riscaldamento e che durante la notte avrebbe fatto freddo.
Volete sapere cosa gli è stato risposto? <<No, no, no, no! E’ prevista una sola coperta per letto, altrimenti fa troppo caldo e gli ospiti prendono fuoco!>>. Ho ascoltato per un po’ la ragazza, che continuava a ripetere sempre la stessa cosa, lasciando sconcertati i suoi interlocutori. Ad un certo punto però non ce l’ho fatta più: sono scoppiata in una folle risata ed ho dovuto chiedere se per caso non si riferisse alle coperte elettriche, che i due ragazzi probabilmente non avevano visto!
Vi lascio anche questo link: Come visitare due straordinari parchi nazionali cinesi, ovvero Jiuzhaigou e Huanglong
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