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Le luci che illuminano le notti di Saigon (di cui ho scritto in qui) erano ancora accese ed io ero già lì che attendevo l’autobus che mi avrebbe portata fino al confine e poi a Phnom Penh. Non posso dire che fossi felice di lasciare il Vietnam, perché al di là delle numerose disavventure (di cui vi ho raccontato qui) che mi hanno spinta ad andarmene dopo soli venti giorni, sapevo che quell’esperienza poteva andare diversamente e che il Paese avrebbe potuto darmi tanto altro. La Cambogia però era a due passi e per me rappresentava un nuovo capitolo del viaggio nel Sud Est Asiatico e di questo sì che ero felice!  

Come previsto, poco dopo che l’autobus è partito, un signore ha ritirato i passaporti e raccolto il denaro necessario per il visto, ricordando a tutti i passeggeri che si sarebbe occupato lui di ogni formalità e che bisognava solo attendere. E così effettivamente è stato: giunta alla frontiera, in meno di un’ora, sul mio passaporto avevo due nuovi timbri, uno di uscita ed uno di entrata!  

Sono arrivata nella capitale cambogiana in tarda mattinata. Non potevo farcela a raggiungere l’ostello a piedi, con lo zaino sulle spalle che ormai si era fatto pesante. Ho deciso quindi di affidarmi ad uno dei tanti tuc tuc parcheggiati proprio dove l’autobus si era fermato, non in una stazione, ma praticamente in mezzo alla strada, in una zona tra l’altro neanche troppo centrale.   

Arrivata a destinazione, non vedevo l’ora di uscire e di perdermi in quel di Phnom Penh. Dovevo tuttavia fare i conti con il caldo dell’entroterra della Cambogia nel mese di marzo, un caldo soffocante, che fa sudare anche se si sta immobili. Poiché avrei trascorso altri due giorni in città, ho pensato di aspettare il tardo pomeriggio per portarmi sul lungo Mekong, non avendo tra l’altro grandi programmi.

Nel breve tragitto mi sono resa conto che il mondo è davvero molto molto piccolo! <<Ehi!!! Mery!!! Mery!!!>>, ho sentito gridare ad un certo punto. Sentendo chiamare il mio nome, d’istinto, mi sono guardata attorno, pur sapendo che era davvero difficile che qualcuno potesse rivolgersi proprio a me, in una città dove non ero mai stata prima. E invece è successo: era Vera, la ragazza olandese incontrata poche settimane prima in Laos, a Vang Vieng (di cui potete leggere qualcosa qui e qui). Ci siamo salutate, abbiamo chiacchierato un po’ di come erano andate le ultime settimane e ci siamo ripromesse di cenare insieme l’indomani.  

E quella stessa sera ho ricevuto un messaggio da Blanca, un’altra ragazza olandese che invece avevo conosciuto a Bangkok. Aveva visto su facebook che mi trovavo a Phnom Penh, dove sarebbe arrivata di lì a poco.

Strane coincidenze? Chi lo sa… Sta di fatto che ho stravolto il mio viaggio in Vietnam, che sono arrivata in Cambogia dieci giorni prima di quanto immaginassi e che per caso ho rincontrato Vera e mi sono ritrovata sul percorso di Blanca!   

Il giorno dopo, di mattina, molto presto, ho iniziato a visitare la città: prima il palazzo reale, poi i wat e per finire il Museo Nazionale della Cambogia. Nel primo pomeriggio ero già di ritorno, anche e soprattutto perché ero stravolta dal caldo.

Poi è arrivata Blanca, che doveva stare nella stessa struttura in cui alloggiavo io, ma che alla fine è finita in un altro posto che ha lo stesso nome ma che si è rivelato davvero orribile.

Per cena siamo comunque riuscite ad incontrarci, insieme a Vera che – neanche a farlo a posta! – è della stessa città di Blanca, tanto per parlare ancora di coincidenze.  

L’indomani, sempre insieme a loro, sono stata anche lì, al Campo di Concentramento di Choeung Ek e alla scuola trasformata in prigione durante gli anni in cui al potere c’erano gli Khmer Rossi e Pol Pot, ma di questo vi ho raccontato in Viaggio negli anni più bui della storia cambogiana: il campo di morte di Choeung Ek ed il museo di Tuol Sleng

lungo mekong phnom penh
palazzo reale phnom penh cambogia
tempio phnom penh cambogia

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”In un’epoca in cui viaggiare è prerogativa di molti, credo che sia ancora possibile percorrere vie sconosciute, rendendole solo nostre: sono convinta infatti che oggi le grandi esplorazioni debbano essere anche e soprattutto interiori.”