
La nebbia era bassa. Copriva le montagne. Copriva la foresta. Copriva tutto ciò che potevo vedere. Interi villaggi erano come fagocitati dalla nebbia, così come le case, quelle abitazioni di fortuna che rappresentano l’unico riparo per chi vive quel territorio così aspro. E lo erano tutti coloro che camminavano ai lati della strada, quasi invisibili.
Da quando era iniziato il mio viaggio, il Messico non mi era mai apparso così selvaggio. E nemmeno così impenetrabile. Riuscivo infatti a malapena ad intravvedere la vita che si nascondeva subito dietro quel pesante velo grigio, bucato solo a tratti.
Non ho potuto fare a meno di chiedermi cosa potesse nascondersi laddove la strada non arriva: il Chiapas è così impervio che inevitabilmente stimola la fantasia di chi conosce storie che vedono come protagonisti bandidos e guerriglieri, anche se ormai sembrano avere fatto il loro tempo.
Sull’autobus, accanto a me, una giovane messicana. Sui sedili vicini, due signore con i loro bambini. Tutta gente del posto quella in viaggio per San Cristobal de las Casas. Solo altre due ragazze che come me si muovevano con uno zaino sulle spalle.
Stavo fantasticando quando l’autista si è fermato a causa di una lunga coda. Non si capiva cosa stesse succedendo, finché un uomo è salito sull’autobus dicendo: <<La carretera es cerrada… Los zapatistas!>>. In quel momento mi sono sentita in trappola: da un parte la parete della montagna, dritta come un muro, dall’altra, a precipizio, una profonda e desolata valle.
Le possibilità di riuscire a fare manovra per tornare indietro erano scarse, ma l’autista impavido: abbiamo infatti atteso per un’ora nella speranza che la strada venisse riaperta ma poi, in men che non si dica, siamo ripartiti, nell’altro senso di marcia, sempre verso San Cristobal de la Casas.
L’unica alternativa per arrivare a destinazione era infatti quella di tornare sui nostri passi, scendendo da quelle alture per attraversare la regione del Tabasco. Altre sei ore di viaggio mi attendevano dunque, dopo le quattro che già avevo alle spalle.
La gente sull’autobus sembrava tranquilla, quasi abituata a quel genere di situazione. Io invece non sapevo cosa pensare. Nonostante tutto però non mi sono fatta prendere dal panico, anche se in un primo momento, quando ho sentito che si trattava degli zapatisti, ho pensato di trovarmi in una situazione almeno potenzialmente pericolosa. Ad ogni modo, cosa potevo fare se non starmene seduta al mio posto?
A metà viaggio una breve sosta per pranzare. L’autista si è addentrato tra le vie di quella che aveva tutta l’aria di essere una piccola città e si è fermato proprio di fronte ad uno di quei baracchini che preparano un po’ di tutto – dai tacos ai tramezzini, fino alle banana chips – per pochissimi pesos.
Era già buio quando sono arrivata a San Cristobal. Scesa dal bus, avevo un po’ di timore ad incamminarmi da sola, tra quelle viuzze poco illuminate, che non conoscevo. Vicino a me, con una guida tra le mani, quelle due ragazze che come me stavano viaggiando zaino in spalla, che dovevano avere il mio stesso obiettivo, quello di trovare un ostello per la notte. Io, in realtà, sapevo già dove andare. Gli ho quindi chiesto se volessero venire con me e così, tutte e tre insieme, ci siamo incamminate.
In camerata ho conosciuto Maia, argentina di Buenos Aires, in viaggio con la sorella ed il cognato. Mi ha raccontato che anche lei ha incontrato gli zapatisti. L’autista del pullman sul quale si trovava però ha pensato di aspettare lì, in coda. E così che li ha visti in faccia, schierati a bordo strada, con il volto coperto.
La sorella di Maia, militante nel partito comunista argentino, era arrivata fino in Chiapas perché, da sempre, era affascinata dagli zapatisti. Voleva sapere qualcosa in più sul loro conto, sulla loro causa e su quella di emancipazione del popolo maya.
Così, una sera, mi è stato chiesto se volessi andare a El Caracol. Non sapevo esattamente di cosa si trattasse, ma la mia compagna di stanza non ha tardato a spiegarmi che si trattava di uno dei tanti covi in cui vivono le comunità zapatiste.
Francamente non me la sono sentita di seguirli. Il giorno dopo però non ho potuto fare a meno di chiedere a Maia come fosse andata. Mi ha detto che la sorella era estremamente delusa. Non solo infatti non volevano farli entrare, ma tante erano le domande che hanno posto e che non hanno ricevuto riposta, una volta dentro al covo. Nemmeno la più ovvia: <<Perché avete bloccato la strada l’altro giorno?>>.
Secondo Maia – ma condivido appieno anche io – chi lotta per una causa ha tutto l’interesse a far conoscere le proprie ragioni. I silenzi degli zapatisti, ai loro occhi sono dunque parsi davvero incomprensibili. Pare che solo il giorno seguente abbiano trovato una spiegazione a quanto accaduto: in una libreria di San Cristobal qualcuno gli avrebbe riferito che il movimento zapatista, ormai, oltre ad essersi esaurito, sarebbe diventato uno strumento nelle mani del governo messicano per spingere i campesinos ad abbandonare le terre. Chissà se è davvero cosi!
Quante persone si incontrano sulle strade del mondo e con loro quante idee…
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Wow, un racconto meraviglioso che fa entrare nell'atmosfera con poche righe… sembra un film pieno di avventure. Penso che tu sia stata molto fortunata a fare questi incontri così densi di significato in un luogo bellissimo.
Sono stata in Chiapas anni fa, proprio per passare del tempo con la comunità zapatista ed è stato bellissimo. Una di quelle cose che non scorderò mai.
È come viaggiare insieme a te… Leggendoti hai trasmessi
questa sensazione…
Letizia sì, con il senno di poi è una bella storia da raccontare… In quel momento però devo ammettere che un po' mi sono spaventata!
Giovy wow! Mi piacerebbe saperne di più della tua esperienza! Deve essere stato interessante!
Genigisb mi fa molto piacere che il mio racconto sia coinvolgente! Grazie 🙂