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Quando sono arrivata ad Hiroshima – devo ammetterlo – vedere tutte quelle scolaresche in gita mi ha colpita. Mi ha colpita perché prima di partire mi era sembrato di capire che i libri di storia, proprio quelli che si trovano a studiare i bambini in divisa che ho incontrato, non diano il giusto peso a quanto è accaduto il 6 agosto 1945 e a tutto ciò che è conseguito allo scoppio della bomba atomica.

Non posso non dirlo, ma vedere lì tutti quei giovani giapponesi è stato rassicurante: per me era infatti la prova che le nuove generazioni non ignoreranno, che avranno piena consapevolezza della tragicità degli eventi che hanno coinvolto il loro Paese, a voler ben guardare nemmeno troppo tempo fa.  

hiroshima giappone

Hiroshima è un luogo della memoria. Non potevo accettare che migliaia di persone, provenienti da ogni dove, ogni anno scelgano di portarsi lì e che i giapponesi semplicemente volessero dimenticare. E a questo punto – col senno di poi – non credo neppure al fatto che i cosiddetti Hibakusha, i sopravvissuti, siano stati messi ai margini della società, come racconta Renata Pisu, nel suo libro Alle radici del sole.

Il Museo della Pace è stato fondamentale per comprendere tutto questo. Mi sono trovata di fronte a fotografie di un’atrocità che non riesco ad esprimere, nelle quali Hiroshima appare come – almeno nella mia immaginazione – potrebbe essere il mondo dopo un’ipotetica apocalisse. Mi viene da dire terribile, semplicemente terribile.

Ecco, se le fotografie della città rasa al suolo sono terribili, quelle che immortalano le persone dopo l’esplosione o nei mesi e negli anni a venire, lo sono altrettanto, se non di più. Non è stato affatto facile guardarle, così come non lo è stato guardare gli oggetti che l’esplosione non ha polverizzato, raccolti perché raccontino la vita a cui un tempo sono appartenuti. Una borraccia, un triciclo, una casacca, degli scarponi, un orologio a pendolo e tanto altro.  

Un edifico, non lontano dal museo, dà invece ancora idea di come doveva apparire la città quando si è trovata ad essere un cumulo di macerie. Si tratta della cupola della bomba atomica, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Ancora una volta, proprio di fronte allo scheletro di quel edificio, che era stato costruito come centro espositivo industriale, mi sono detta che se i giapponesi avessero voluto dimenticare l’Hiroshima di quel giorno, avrebbero eliminato ogni traccia di ciò che è accaduto e che se non lo hanno fatto un motivo ci sarà.

Poi, il Parco della Pace, con tutti i suoi monumenti commemorativi, che appunto ricordano. Seduta su una panchina, osservavo le attività nelle quali le scolaresche venivano coinvolte. Ai piedi del monumento alla pace dei bambini, quei piccoli giapponesi li ho visti leggere dei pensieri, li ho visti riporre tante piccole gru di carta, colorate, segno di longevità…  

gru hiroshima giappone

Forse stavano ricordando Sasaki Sadako, una bambina di undici anni, sopravvissuta all’esplosione della Bomba Atomica ma successivamente ammalatasi di leucemia, che una volta appreso della sua malattia ha deciso di costruire mille gru, di quelle di carta, di quelle colorate, convinta che così sarebbe guarita…  

Prima di lasciare Hiroshima mi sono fermata di fronte al cenotafio che riporta i nomi delle vittime della Bomba Atomica. In lontananza potevo scorgere la Fiamma della Pace, che continuerà a bruciare finché non verrà distrutta l’ultima arma nucleare esistente al mondo. Che Hiroshima, al di là della volontà di ricordare, non sia soprattutto monito e speranza?    

We dedicate this bell as a symbol of Hiroshima aspiration: let al nuclear arms and wars be gone and the nations live in true pace! May it ring to all corners of the earth to meet the ear of every man, for in it throb and palpitate the hearts od its peace-loving donors. So may you, friends, step forward and toll this bell for peace! Hiroshima, 1964 Higan No Kai

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2 Replies to “I giapponesi e la questione Hiroshima”

  1. Infatti Alberto… Sono felice di essere stata ad Hiroshima, nonostante ciò che implica… E soprattutto sono felice che le cose non stiano come mi è capitato di leggere prima di partire…

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”In un’epoca in cui viaggiare è prerogativa di molti, credo che sia ancora possibile percorrere vie sconosciute, rendendole solo nostre: sono convinta infatti che oggi le grandi esplorazioni debbano essere anche e soprattutto interiori.”