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Prima della mia partenza qualcuno, persino su qualche noto gruppo di viaggi sui social, mi ha chiesto perché avessi scelto di trascorrere cinquanta giorni in Cina e perché avessi scelto proprio la Cina, come se la sua storia millenaria, la cultura che la pervade e la sua varietà paesaggistica non fossero motivi sufficienti.

Il mio giro del mondo a tappe certamente è inusuale, per tante ragioni. E inusuale può apparire l’idea di dedicare un periodo così lungo unicamente ad un Paese ed alla Cina appunto, che sempre più spesso vedo bistrattata come meta turistica, complici forse i cliché sedimentati nell’immaginario comune che punta l’attenzione unicamente su qualche sporco ristorante di Via Paolo Sarpi a Milano o su qualche caotico mercatone di periferia.

Il mio interesse per la Cina non è nuovo e non è nato quando ho iniziato a pensare al giro del mondo. Non so neanche io a quando risale, a dire la verità. Ad un certo punto però ho iniziato a leggere i libri di Rampini (L’impero di Cindia, L’ombra di Mao…) e mi sono ritrovata tra le mani una bellissima storia della Cina, ricevuta in regalo dalla mia amica Elena per il mio ventesimo compleanno.

Al terzo anno di università dovevo scegliere una terza lingua da studiare, oltre al tedesco e all’inglese. In un primo momento, quasi istintivamente, ho pensato al cinese e l’ho scelto all’interno di un’ampia rosa di lingue. Così, durante il mese di settembre, prima dell’inizio delle lezioni, ho persino fatto un corso propedeutico organizzato allo scopo di acquisire le prime nozioni. E’ stato interessantissimo, certamente per gli aspetti linguistici ma anche per le questioni culturali che sporadicamente venivano affrontate. Ricordo ancora quanto mi divertissi facendo gli esercizi per imparare i toni e anche a scrivere e riscrivere i caratteri.

Allo stesso tempo, tuttavia,  mi sono resa conto che lo studio del cinese mi avrebbe richiesto troppo tempo, soprattutto considerando che l’avrei affrontata come terza lingua e che dunque avrebbe avuto un’importanza minore all’interno del mio piano di studio. Quando poi le lezioni sono iniziate, ho quindi ripreso il mio francese scolastico. L’interesse per la Cina non è però mai venuto meno.

piazza tienanmen pechino cina
piazza tienanmen pechino cina

Qualche settimana prima della partenza sono andata a casa di mia nonna e ad un certo punto mi ha detto che dovevamo salire in mansarda, poiché aveva trovato dei libri che avevo lasciato lì chissà quando. Volete sapere cosa ho trovato? Un vecchio libro sulla Cina, con tanto di appunti per una ricerca che ho fatto in quarta superiore! Non so come, non so perché, ma avevo completamente rimosso la cosa e dimenticato il libro!

Il 25 settembre, poi, sono salita sul volo per Pechino. Dopo il breve scalo ad Helsinky, una cena veloce e le luci si sono spente. Solo all’alba ho riaperto gli occhi, abbagliata dal sole che stava sorgendo. Non doveva mancare molto all’atterraggio e così ho pensato di godermi quel momento senza fare altro che guardare fuori dal finestrino.  

Iniziata la discesa, all’improvviso, il grigio più totale: era nuvoloso e stava piovendo o quella era la cappa che avvolge Pechino, di cui tanto si sente parlare?  Una volta uscita dall’aeroporto avrei dovuto indossare la mascherina? In realtà ne avevo in tasca una (ridicolissima!) acquistata in Vietnam qualche mese prima. Ecco, era rosa con… Hello Kitty!  

Ho espletato le formalità d’ingresso in circa un’ora, senza particolari problemi. Devo dire che i cinesi sono piuttosto veloci, ma c’era tanta gente in coda. Mi sono quindi portata dal terminal 2 al terminal 3 per ritirare i bagagli con un trenino automatizzato che si muove all’interno dell’aeroporto. Poi finalmente l’Express Train per Dongzhimen e metro fino alla fermata di Qianmen, per poi raggiungere da lì l’ostello a piedi.  

In un batter d’occhio mi sono ritrovata nel cuore della capitale, che non stava dando proprio il meglio di sé a causa di una sottile e fastidiosa pioggerellina. Devo ammettere che una volta in superficie ero proprio disorientata. Diversi i sottopassaggi per spostarsi da un lato all’altro della strada. Quelli che per me dovevano essere dei punti di riferimento, non lo sono stati. E poi pure le mappe offline che avevo scaricato, che sembravano non funzionare.

Non aveva senso comunque stare lì,  così mi sono incamminata alla vecchia maniera, cartina alla mano. Fortunatamente il tablet ad un certo punto si è ripreso e mi ha indicato che mancavano pochi minuti per arrivare a destinazione!  

Una volta arrivata, le ragazze alla reception mi hanno subito assegnato camerata e letto e consegnato una bella cartina della capitale, più dettagliata di quella che già avevo. Prima di uscire però mi sono riposata un paio d’ore. Quel giorno infatti non avevo intenzione di allontanarmi troppo dall’ostello e potevo prendermela con estrema calma.

Quando sono uscita ho raggiunto Piazza Tienanmen e mi sono letteralmente mancate le parole per descrivere la sua imponenza. Sapevo delle sue dimensioni, ma fino a quel momento non ero riuscita davvero a concepirla per quello che è! Tra l’altro il cielo era stranamente bianco e rifletteva se stesso nelle pozzanghere che si stavano creando un po’ su tutta la superficie della piazza, che così sembrava ancora più ampia.

C’erano poche persone. O forse semplicemente io me ne aspettavo di più, considerando che i cinesi nel 2016 erano quasi 1.4 miliardi. Tra l’altro non mi è parso di vedere alcun occidentale. Tutti cinesi o comunque orientali, tutti intenti a fotografare e soprattutto a fare selfy con… Mao, il cui ritratto troneggia sulla Porta della Pace Celeste quasi a presidio della piazza più importante del Paese!  

Sapevo che oggi è possibile! Sapevo che la personalità più nota della Cina oggi è persino oggetto di parodie! E sapevo che in Cina oggi si organizzano addirittura concorsi per trovare dei sosia! Ad ogni modo, ciò che ho visto mi è parso togliere un po’ di sacralità all’immagine del Grande Timoniere, il cui corpo è custodito (e venerato?) nel mausoleo che sorge sulla piazza, che  avrei visitato con centinaia e centinaia di cinesi il giorno dopo.  

Eppure l’impronta di uno Stato autoritario, proprio lì, in un certo senso si percepisce ancora, come in nessun altro luogo della Cina in cui poi mi sono venuta a trovare, nonostante i passi avanti che il Paese sembra aver fatto negli ultimi tempi. Quanti militari ci sono tutt’intorno alla Piazza? Quali misure di sicurezza non vengono adottate? E’ davvero impressionante!  

hutong pechino cina
hutong pechino cina

Anche negli Hutong nei pressi di Dashilar, poco più tardi, mi è parso di cogliere una Cina vecchia, che ha un sapore antico, e certamente non la Cina che avanza, che conosciamo bene per la spregiudicatezza che ha mostrato sui mercati europei, ma non solo, negli ultimi anni.

Forse ha ragione lo scrittore Yu Hua nel dire che ”La società cinese di oggi è grottesca [perché] bellezza e oscenità, progresso e arretratezza coesitono”, forse hanno ragione tutti coloro che nella Cina di oggi vedono un gigante pieno di contraddizioni, frutto di cambiamenti avvenuti troppo velocemente. Non ultimo sempre Yu Hua afferma che ”la Cina della Rivoluzione Culturale e la Cina di oggi potrebbero essere paragonate all’Europa del Medioevo e a quella contemporanea e che ad un europeo servirebbero quattrocento anni per sperimentare due epoche tanto antitetiche, mentre ai cinesi ne sono stati sufficienti quaranta.”.

Da quel momento, viaggiando da un capo all’altro del Paese, ho avuto cinquanta giorni per farmi un’idea su una realtà che da tempo mi incuriosiva. Già quel primo giorno a Pechino però qualcosa stavo iniziando a capire.

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”In un’epoca in cui viaggiare è prerogativa di molti, credo che sia ancora possibile percorrere vie sconosciute, rendendole solo nostre: sono convinta infatti che oggi le grandi esplorazioni debbano essere anche e soprattutto interiori.”