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Non so se avete mai sentito parlare del Lugu Hu, l’idilliaco lago che si trova sul confine tra Yunnan e Sichuan. Nel caso ne abbiate già sentito parlare (la cosa mi stupirebbe perché non rientra nei maggiori circuiti turistici!), certamente saprete che sulle sue sponde abitano, tra le altre entie, anche i mosu che da sempre vivono in società matriarcali.    

Durante il mio viaggio in Cina ho avuto modo di trascorrere un paio di giorni sul Lugu Hu e devo dire che è proprio da questo angolo del Paese che porto i ricordi più belli.

La ricchezza paesaggistica e culturale che ho potuto scorgervi mi ha incoraggiata, mentre ancora ero in viaggio, a pensare altri cammini, sempre nel Paese, che certamente intraprenderò in futuro, in luoghi di una bellezza unica, frutto di una natura su cui l’uomo ancora non ha posato la sua pesante mano e di minoranze che non sono abituate a confrontarsi con la modernità degli anni 2000.

Ecco, sul Lugu Hu ho capito che prima o poi tornerò in Cina per spingermi nelle province più remote; sì, è proprio lì che è maturata questa consapevolezza.

lago lugu hu cina

Sono arrivata sul Lugu Hu in modo insolito, provenendo da nord e non da Lijiang, come buona parte dei viaggiatori: prima il treno che da Emeishan in sette ore mi ha portata a Xichang dove ho trascorso la notte e poi l’autobus, praticamente vuoto, che nello stesso arco temporale mi ha portata a destinazione. 

Sono approdata sulla parte del lago che appartiene al Sichuan, quella che secondo me ha mantenuto una maggiore genuinità.  L’autobus si è fermato a Lugu Lake Town, là dove ancora stanno costruendo una stazione, che c’è, ma appunto non è agibile e che credo verrà inaugurata presto, se già non è stata inaugurata.  

Un taxi mi stava aspettando, incaricato dalla guesthouse dove avrei pernottato, tra l’altro come unica ospite. Attraversata quella che sulla cartina è indicata come città, ma che in realtà mi è parsa più come un paesone, finalmente in mezzo al nulla, ho raggiunto il villaggio di Zhaojiawan.  

Era ancora presto quando sono arrivata e mi sono sistemata, così ho chiesto consiglio riguardo a cosa avrei potuto fare quel pomeriggio. <<Puoi camminare fino a Goddess Bay, fermandoti più o meno a metà strada là dove c’è un ottimo view point, dal quale il tramonto sarà senz’altro eccezionale!>>, mi ha detto il ragazzo che gestisce la guest house insieme alla madre (che fa anche da cuoca) e alla sorella.

Sono andata quindi. Una strada in mezzo ai campi, campi pieni di fiori, campi coltivati. Solo qualche casa qua e là. Una leggera salita e sono arrivata al view point di cui mi era stato detto, indicato da un cartello. Da una panchina potevo vedere tutto il lago: le sponde delimitate da alte montagne, le isole e quella lingua di terra che si gettava in acqua praticamente sotto di me.

Incantata da ciò che vedevo, ho perso la cognizione del tempo. Presto però ho capito che era il caso di muoversi: non volevo fare troppo tardi, rischiando di perdermi nel buio che sarebbe calato dopo il tramonto. Mi sono quindi messa nuovamente in cammino, perché volevo assolutamente arrivare a Goddess Bay. Un’oretta scarsa ed ero lì, su quella baia che come uno specchio rifletteva le nuvole bianche, in alto, sopra di leì, tappezzata di barchette di legno che gli conferivano un non so ché di pittoresco. 

Dov’erano finiti gli abitanti del villaggio? E i mosu? Tutti in casa? Ho dato un’occhiata in giro, ma a parte un paio di capre e qualche gallina, non c’era proprio nessuno! E così, con passo svelto, me ne sono tornata da dove ero venuta, mentre il sole pian piano si nascondeva dietro l’orizzonte.  

Il giorno dopo, la mia grande impresa: percorrere tutto il perimetro del lago ovvero affrontare 70km di salite e discese su due ruote! Come ho fatto? Non lo so, visto che non sono abituata a questo genere di attività; quando sono in viaggio tuttavia sono sempre in movimento e quindi proprio per questo forse, man mano che passano i giorni, sento sempre meno le fatiche conseguenti alle biciclettate, al trekking ecc.  

lugu hu sichuan

Quando ho comunicato ai tre gestori della guesthouse che intendevo partire prima delle otto, hanno sgranato gli occhi e hanno detto: <<Uaaa… E’ troppo presto! Morirai di freddo!>>. Mi hanno comunque preparato la colazione e la bicicletta, senza tentare di convincermi a mettermi in marcia più tardi. Dopo aver segnato per me sulla mappa del lago i confini tra Sichuan e Yunnan mi hanno indicato la parte più faticosa, ovvero quella che si trova nello Yunnan. Mi hanno quindi salutata: <<Ci vediamo stasera! Buona giornata!>>.  

Lasciando Zhaojiawan, il primo villagio Mosu che ho incontrato è stato quello di Awa, 253 abitanti, che vivono in una quarantina di case che mantengono un’architettura tradizionale. Era ancora presto effettivamente e per le vie ho incontrato solo un paio di persone, che mi guardavano incuriosite.  

Poi sono arrivata a Zhongwa, che si trova proprio all’incrocio tra la strada da dove venivo e la strada principale. Un po’ più grande Zhongwa, con i suoi quasi 400 abitanti e le sue 60 case. Girando per il villaggio, che evidentemente si era già svegliato, ho incontrato dei bambini che giocavano per strada e delle anziane signore nei loro fioritissimi giardini, tutte in abiti tradizionali, che indossavano un curioso copricapo.  

E’ stata quindi la volta di Gesa e Aokua, prima di giungere sul lago, perché, sì, quella mattina il lago non l’avevo ancora visto…  

Una cosa mi ha colpita subito, mentre mi muovevo nei villaggi: l’assenza di luoghi culto, che in Cina fino a quel momento avevo visto praticamente ovunque. Ho scoperto solo in seguito che i Mosu non manifestano il loro credo – che si concretizza in una religione (o forse sarebbe meglio parlare di visione del mondo, di filosofia) che prende il nome di Daba – in luoghi predisposti, come possono esserlo i templi ad esempio.

I Mosu, inoltre, non sembrano avvalersi di testi scritti per tramandare di generazione in generazione i saperi che governano la loro società; questi verrebbero infatti trasmessi oralmente.  

Proseguendo, mi sono ritrovata sulla cosiddetta Libai Lover’s Beach, il cui nome richiama una leggenda che vede come protagonisti Ge’mu e Houlong, due amanti che una divinità avrebbe pietrificato, trasformandoli in montagne separate dal Lago. Pare che solo il 15 giugno i due amanti possano incontrarsi e che tale giorno sia possibile sentire le loro voci sussurrare parole colme d’amore.  

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Anche le scogliere di Luyuan, alle quali sono arrivata dopo aver percorso una sezione particolarmente panoramica della strada, sono avvolte nella leggenda, una leggenda che chiarirebbe l’origine del lago. Secondo i Mosu sotto le scogliere c’era una fonte che però era ostruita da un pesce gigante. Per spostare il pesce e permettere all’acqua di scorrere liberamente, i Mosu avrebbero usato la forza di ben nove cavalli. Una volta riusciti nel loro intento però ci fu un’alluvione e così si formò il Lugu Hu.  

Dopo la salita che mi ha portata sulle scogliere, sono scesa e mi sono ritrovata nello Yunnan. Se fino a quel momento il percorso è stato piuttosto pianeggiante, le cose poi sono cambiate: in alcuni punti ho infatti dovuto proseguire a piedi, tanto era ripida la strada.  

Il villaggio di Lise, poi quello di Lige, quindi quello di Luoshui e quello di Sanjia, immersi in un contesto a dir poco magnifico. Devo ammetterlo però, ho una netta predilezione per i villaggi sulle sponde del Sichuan: più raccolti e non delle cittadine con tanto di hotel che a parer mio sono proprio fuori contesto, non vedono passare minivan e autobus pieni di turisti cinesi provenienti da ogni angolo del Paese in cerca di uno scatto su una barchetta locale in compagnia di un cinese han nei panni dei mosu!  

Il paesaggio, come ho già detto, è sorprendente, ma sono stata felice di tornare nel Sichuan, sia perché le gambe stavano iniziando a dare segni di cedimento, sia perché speravo di trovare altri villaggi come quelli incontrati di mattina.  

Di villaggi come quelli, poi, ne ho incontrati ancora e ancora. Shekua, Shannan, Miwa e Boerjiao. Ed ho incontrato anche una simpatica signora che mi ha invitata a sedermi con lei, la figlia e la nipotina. Solo sorrisi, chiaramente, niente parole, perché la barriera linguistica era invalicabile. Ma a volte i sorrisi dicono più di mille parole.  

Mi sono buttata, quindi, le ho mostrato la macchina fotografica e le ho fatto capire, gesticolando, che mi sarebbe piaciuto scattarle un paio di fotografie. Lei continuava a ridere, mostrandomi che le mancavano i denti, come a voler intendere che non fosse un soggetto particolarmente adatto. A convincerla, la figlia e la nipotina. Il suo volto, pieno di rughe, con gli occhi a fessura e le labbra strette, ma in un grande sorriso, è uno dei più belli, se non il più bello, che ho strappato ad una Cina fatta anche di minoranze etniche.  

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Mentre me ne stavo andando è arrivata un’anziana amica. Mi hanno dunque richiamata, perché volevano che scattassi una foto anche a lei! Chiaramente non me lo sono fatta dire due volte!   

Quando sono arrivata al cosiddetto walking marriage bridge, non ho potuto fare a meno di chiedermi se anche le donne che avevo appena incontrato, palesemente mosu, vivessero in società matriarcali, che conservano una tradizione che in occidente può apparire quanto meno particolare.  

Mi riferisco al cosiddetto walking marriage, appunto. Per farla breve le donne mosu possono invitare un uomo nella loro casa per una o più notti, ma al mattino l’uomo deve sempre tornare a casa sua; può trattarsi di relazioni brevi o che durano nel tempo.

Nel momento in cui nascono dei bambini questi vengono cresciuti dalla madre e dalla famiglia della madre. Pare che ciò consenta di mantenere concentrate le risorse, in particolare le terre, rimanendo sia gli uomini che le donne sempre legati al nucleo familiare originario; e, se vogliamo, questo genere di usanze hanno un certo senso in territori dove le risorse scarseggiano, come accade appunto nell’area del Lugu Hu.  

Mentre pedalavo per tornare alla guest house, una domanda continuava balenarmi per la testa: <<Ma quella anziana e arzilla signora sarà ancora in età da marito? Chissà se qualche volta la vedono ancora sul ponte!>>.

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2 Replies to “Lugu Hu, i Mosu ed il cosiddetto ”walking marriage””

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”In un’epoca in cui viaggiare è prerogativa di molti, credo che sia ancora possibile percorrere vie sconosciute, rendendole solo nostre: sono convinta infatti che oggi le grandi esplorazioni debbano essere anche e soprattutto interiori.”