Tutte le fiabe che si rispettano iniziano allo stesso modo. Iniziano tutte con <<C’era una volta…>>. Non so se la fiaba che vi racconterò è una di quelle che si rispettano, anzi probabilmente non lo è, ma ho deciso che inizierà come si deve. C’era una volta – pochissimo tempo fa – una ragazza (il cui nome probabilmente già lo conoscete!) che in un luogo lontano chiamato Nara è scesa da uno dei tanti treni di passaggio.
Come potete immaginare, se ha deciso di scendere proprio lì, doveva avere una buona ragione. In realtà, vi devo dire che di buone ragioni ne aveva almeno due e di quelle io vi racconterò…
Ma torniamo alla storia. Scesa dal treno la ragazza si è messa in cammino e, impaziente come sempre, ha iniziato a chiedersi: << Ma dove saranno? >>. Si guardava in giro e, continuando a non vederli, si è persino domandata: << Chissà se è vero che vagano per tutta la città indisturbati…>>.
Poi, improvvisamente, nei pressi del parco ha iniziato a scorgerne qualcuno. Erano lì, piccoli, grandi, dal manto chiaro, dal manto scuro, maculati. Scusate se interrompo ancora la storia, ma mi stavo dimenticando di dirvi perché lei era lì: i cervi di Nara, che un tempo sono stati messaggeri degli dei!
Poche cose la emozionavano – e vi garantisco che è tutt’ora così – più della possibilità di cogliere, seppure per pochi istanti, ciò che considera massima espressione della natura, ovvero gli animali nel loro ambiente, liberi. In questo senso, dovete sapere che i cervi di Nara rappresentano ciò che di più bello ha potuto cogliere durante il suo viaggio in Giappone.
Giunta al parco, la ragazza si è fermata, felice di ciò cui stava assistendo. Alcuni di quei cervi se ne stavano seduti tra gli alberi, all’ombra. Altri invece brucavano, da soli o in branco. Ed altri ancora si piazzavano lì, in mezzo alla strada, cercando poi persino di entrare in qualche negozio.
C’era chi si divertiva a dargli i cosiddetti shika-senbei, dei biscottini che devono trovare deliziosi. C’era chi si divertiva a mettersi in posa e fare mille scatti, pur di immortalarli nelle loro espressioni più simpatiche, più buffe, più dolci. E c’era chi ha scoperto anche quanto siano caratteriali e che, stufi di una certa presenza, non esitino a salutare senza mezzi termini, scalciando.
A Nara, come in pochi altri luoghi in cui si è trovata a passare, la ragazza ha iniziato a sentirsi protagonista di una fiaba, di una di quelle fiabe che tutti conosciamo, nelle quali non è strano che uomini e cervi convivano. E così che è diventata la protagonista della mia fiaba, quella che vi sto raccontando, quella dei cervi e… Ah sì, non vi ho ancora raccontato di lui! Procediamo con calma però!
Proprio mentre stava per entrare nel Todai-ji, uno dei cervi si è avvicinato alla ragazza, di sua spontanea volontà. Probabilmente aveva fiutato qualcosa nel suo zaino, forse il pranzo, ma non lo ammetterebbe mai, nemmeno se glielo chiedessi mille volte. E così, prima di entrare nel complesso templare, lei non ha potuto fare a meno di fare due coccole a quel Furbetto, di nome e di fatto.

Veniamo al dunque però. A Nara, oltre che per i cervi, lei ci è venuta anche per un’altra ragione: il Daibutsu. Quando si è fermata, sotto il portale del tempio per colpa del cervo che ormai tutti conosciamo, era a due passi da quel Grande Buddha di bronzo, il Buddha Cosmico, il Buddha Dainichi, che avrebbe dato origine a tutti i mondi.
Così, una volta salutato Furbetto, è entrata. In un primo momento si è portata verso l’incensiere. Poi, ha raggiunto la scalinata. E quindi il varco d’accesso. Si è trovata dunque ai suoi piedi, pronta ad alzare il capo per ammirarlo. Così finalmente lo ha visto, in tutta la sua imponenza, come poteva apparire solo a lei, la protagonista di una fiaba che è giunta alla sua meta dopo una lunga avventura. Guardandolo e riguardandolo, la ragazza ha cercato di immaginare come doveva essere tanto tanto tempo prima, nel VIII secolo, perché nel VIII secolo era già lì, completamente dorato.
Pur scrutandolo attentamente, non si era resa conto delle effettive dimensioni del Daibutsu, finché non si è portata alle sue spalle. E lì che ha notato dei bambini, per terra, tutti in fila, davanti ad una colonna che nella sua parte inferiore presentava una cavità grande quanto una narice del Grande Buddha. Entravano da una parte ed uscivano dall’altra, sperando di guadagnarsi il Nirvana, proprio come dice una delle tante storie – probabilmente non una fiaba come quella che vi sto raccontando – che ruotano attorno a quella figura.
Ancora una volta come si addice alle protagoniste di quelle fiabe che tutti conosciamo, dopo essersi congedata dal Grande Buddha, la ragazza ha voluto perdersi nel bosco, laddove vivono quei cervi che non hanno paura di spingersi fino in città. Li ha compreso dove sta la bellezza di Nara… Forse nell’invisibilità di quel confine tra civiltà e natura che appare sempre più netto e opprimente anche agli occhi degli esseri umani?


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