Del 6 gennaio la notizia che la Corea del Nord potrebbe aver testato una bomba H, ovvero una bomba all’idrogeno, più potente persino della bomba atomica. E’ così che ho avuto conferma che la scelta fatta solo un paio di mesi prima, quella di limitare il mio viaggio alla Corea del Sud, fosse quella giusta.
Tanti motivi mi hanno spinta in quella direzione. Il fatto, ad esempio, che avrei avuto poca libertà nell’organizzazione ha senz’altro giocato un ruolo fondamentale: per me è inaccettabile che in Corea del Nord ”il visitatore viene sempre scortato da due funzionari governativi con cui occorre concordare ogni itinerario”, come spiega bene Rampini nel suo libro L’ombra di Mao. Poi, non ero e non sarò mai disposta a pagare le cifre che vengono chieste per vedere unicamente ciò che un regime – perché di questo si tratta! – vuole mostrare. E soprattutto, non vorrei mai sostenere, nemmeno nel mio piccolo, un regime che pur di mantenere il proprio status quo continua a testare armi nucleari (per farla breve e non dire molto altro!).
Quel giorno mi è tornato in mente il War Memorial di Seoul, che avevo avuto modo di visitare durante il mio terzo giorno in città (nel post Seoul: un itinerario e qualche escursione fuori porta ho raccontato come ho organizzato il mio soggiorno in città, che potrebbe interessarti nel caso stessi pensando di andarci). E mi sono tornate in mente anche tutte le considerazioni scaturite da quella mia visita al luogo che racconta la storia militare della nazione ed in particolare di quella guerra, la Guerra di Corea, combattuta tra il ’50 ed il ’53.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale la Corea è stata divisa in due metà rispettivamente sotto il controllo degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, che hanno continuato per decenni a combattersi su quelle che erano terre di altri, per tutelare i rispettivi interessi geopolitici, per ottenere un’insensata egemonia sul mondo di allora, diviso in due blocchi antagonisti.
Nel ’48, tuttavia, l’Unione Sovietica ha lasciato la Corea del Nord e, solo l’anno seguente, gli Stati Uniti hanno abbandonato quella del Sud. Ciò che avevano innescato però doveva ancora esplodere: una guerra civile, una guerra tra genti che fino a quel momento non si sarebbero mai combattute.
E così, nel pieno della Guerra Fredda, il ritorno in scena delle due grandi potenze, che nel dopoguerra hanno determinato le sorti anche di altri Stati, anch’essi smembrati. Nel 1950 la Corea del Nord è quasi arrivata a prendere Seoul ed ecco gli USA intervenire, chiamando in causa anche le Nazioni Unite. Da quel momento entrambe le parti hanno continuato ad avanzare e a correre in ritirata, finché non sono arrivate ad una situazione di stallo, lungo il 38° parallelo, che marcava il confine creato da USA e URSS tra due Coree che forse volevano proprio si facessero la guerra.
Per due anni hanno combattuto lungo quella che oggi viene chiamata DMZ, la cosiddetta demilitarized zone, senza cambiamenti sostanziali per la sorte né dell’una né dell’altra Corea, finchè – data l’immutabilità della situazione – la guerra si è conclusa, senza un senso, se una guerra un senso può avere.
Sarà banale chiederselo, ma quella guerra è valsa la vita di tre milioni di coreani (due terzi dei quali del nord) e di 35.000 soldati americani? E poi – e questa domanda adesso mi tocca davvero nel profondo, perché mi coinvolge direttamente, così come coinvolge voi – se le due Coree non fossero mai state costruite (sì, costruite a tavolino!) adesso dovremmo preoccuparci del cosiddetto Caro Leader e dei suoi test nucleari?

Lasciato il Memoriale, quel giorno a Seoul, ho deciso di portarmi sul Monte Namisan. Sono salita con la funicolare, godendo del panorama, e sono scesa a piedi, attraversando una delle aree verdi più estese della metropoli, una metropoli che davvero si può dire a misura d’uomo.
Penso a Seoul. Penso alla Corea del Sud. Penso alla Corea del Nord, le cui strade ho deciso di non percorrere. Penso alla sostenibilità dello sviluppo sudcoreano e alla totale mancanza di coscienza – ambientale, tanto per farla breve ancora una volta! – nordcoreana. Penso al fatto che lì, in Estremo Oriente, oggi, potrebbe esserci una sola Corea, che non vorrebbe mai essere la protagonista di una notizia come quella che è giunta alle nostre orecchie il 6 gennaio. Forse è inutile continuare a pensare. Con i se e con i ma non si riscrive il passato.
Forse però i se e i ma posso aiutarci a scrivere il futuro. O quanto meno ci aiutano a porci delle domande, prima di agire. Non credete anche voi?
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