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Le luci della sera, quelle delle insegne, le ricordo bene: appena ho lasciato la metropolitana mi hanno letteralmente abbagliata. Ero un po’ frastornata, probabilmente a causa delle ore trascorse in aeroporto e del volo che da Tokyo mi aveva portata lì. Finalmente però ero a Seoul, in Corea del Sud. La voglia di perdermi in quel tripudio di colori che è la metropoli quando cala il buio era grande, ma solamente il giorno seguente mi sono messa in cammino sulle sue strade…  

Ancora oggi, a cinque mesi dal mio ritorno, non mi spiego perché ho deciso di trascorrere quasi tre settimane viaggiando nella Penisola su cui sorge e non altrove. Quando pensavo all’Asia, prima di questa mia partenza, il Paese non mi è mai passato per la testa, eppure quando si è trattato di scegliere…  

Fin dal primo momento mi è parsa una meta un po’ bistrattata. Ho avuto l’impressione che in pochi le diano una possibilità e che, di conseguenza, in pochi ne parlino, forse perché si trova tra due giganti ben più conosciuti – la Cina e il Giappone – che continuano a tenerla nell’ombra, anche quando si tratta di viaggi.   Sarà stata la mia curiosità a spingermi in Corea del sud?  

Quella mattina, passeggiando, mi sono ritrovata improvvisamente tra i vicoli del Bukchon Hanok Village, tra centinaia di case tradizionali, i cosiddetti hanok. Camminavo e camminavo, praticamente con il naso all’insù: ad attirare la mia attenzione erano i tetti di quelle case, curvi, come quelli che da sempre immaginavo pensando all’Oriente, anche se non a quel Oriente. Anche i motivi decorativi delle tegole, così come quelli delle facciate, sono riusciti a catturare la mia attenzione.   

Bukchon Hanok Village seoul corea del sud

E così ho vagato per ore, senza annoiarmi, in quello che mi si è presentato come un piccolo villaggio all’interno della città. Ed ho vagato per ore prima di notare la città vera e propria, con tutti i suoi grattacieli, in lontananza. E’ bastato poco perché io mi rendessi conto di quanto la capitale di quella Corea del sud che ad un certo punto tanto mi ha incuriosita, sia sorprendente nei suoi contrasti. Architetture di un tempo e architetture contemporanee trovano infatti entrambe spazio nel paesaggio urbano, un po’ ovunque!  

Me ne sono resa conto, ancora una volta, entrata nel Palazzo di Gyeongbokgung, uno dei cinque palazzi reali presenti in città: anche lì, sull’orizzonte, quei grattacieli. Ho continuato a muovermi tra gli edifici di quel complesso, sempre con il naso all’insù. Prima l’edificio dove si tenevano le incoronazioni, nel quale i re conducevano gli affari di stato, quindi l’edificio in mezzo allo stagno, che poggia su ben quarantotto colonne, nel quale un tempo si tenevano i banchetti, e poi tante altre strutture che sarebbero altrettanto degne di menzione. Non avevo mai visto nulla di più variopinto prima di allora. E mai avrei avrei potuto immaginare di vederlo a Seoul, che – in tutta sincerità – credevo fosse piuttosto grigia.  

Palazzo di Gyeongbokgung Seoul – Corea del Sud

E finalmente, sempre con il naso all’insù, mi sono ritrovata ai piedi di quei grattacieli che ho potuto scorgere fin dal mattino. Ho percorso un lungo viale, fino a giungere al cosiddetto Cheong-Gye-Cheon, un canale che scorre per quasi 6km, attraversando la città. Mi è parso incredibile che tra quegli edifici alti e dalle forme avveniristiche potesse davvero esserci un’area verde di quel tipo, di quelle dimensioni, con tanto di alberi, cascate, passerelle e persino installazioni. Mi sono seduta lì, per un po’, ad osservare il via vai. Pochi i turisti, anzi, forse nessuno. Tutti coreani, probabilmente, che a quell’ora lasciavano gli uffici e si rilassavano in quella magnifica oasi cittadina.  

Poco prima del tramonto mi sono incamminata nuovamente lungo quel corso d’acqua, godendo dei più bei colori della sera. Prima di tornare in ostello, tuttavia, c’era ancora una cosa che volevo fare: andare al mercato di Gwangjang! Cenare dovevo cenare e quale luogo poteva essere migliore, se non uno di quelli prediletti dai locali?  

Seoul Cheong Gye Cheon Corea del Sud

La gente mi ha sorpresa. Arrivava, decideva dove ordinare e si sedeva a tavola, accanto a chi era arrivato prima. L’importante – almeno così mi è parso – era condividere il proprio pasto, anche con dei perfetti sconosciuti. Ridevano, scherzavano, quei coreani che magari non si erano mai visiti prima di allora. L’atmosfera era quella di un’allegra festa di paese, di quelle che vengono organizzate dalle nostre parti d’estate.  

E poi, del tutto inaspettatamente, ho trovato ciò che immaginavo avrei potuto trovare nel Sud Est Asiatico, non in quella Seoul che avevo appena iniziato a scoprire. Tanti banchetti, tanti pentoloni e altrettante signore che al momento preparavano ogni sorta di cibo. Verdure nelle salsine più svariate, granchietti galleggianti in quella che sembrava salsa di soia, teste di maiale ben cotte e abbrustolite e mille altre pietanze, dall’odore piuttosto invitante, che sempre con il naso all’insù mi sono gustata.  

Ecco, devo dirlo, io volevo mangiare lì, ma una volta giunta sul posto mi sono resa conto di non essere pronta… Stavo vivendo uno scorcio della Seoul di un tempo, una Seoul molto tradizionale che si è palesata tale anche nelle abitudini alimentari dei suoi abitanti, che tra l’altro trovano ancora il tempo per stare insieme, come si faceva una volta? Oppure anche al mercato di Gwangjang, a voler ben guardare, Seoul si è rivelata moderna? Ben impressa nella mia mente rimane l’immagine di un pentolone, all’interno del quale era stata cucinata una zuppa di insetti, che a quanto pare saranno il cibo del futuro!  

Mercato di Gwangjang, Seoul Corea del sud

Ero a Seoul da un giorno e già mi piaceva, tanto, tantissimo, come non mi aspettavo… E chissà cos’altro ancora dovevo vedere di quella città dai mille sorprendenti contrasti… A proposito di Seoul puoi leggere anche Seoul: un itinerario e qualche escursione fuori porta e Riflessioni (forse inutili!) di quel giorno al War Memorial di Seoul….

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”In un’epoca in cui viaggiare è prerogativa di molti, credo che sia ancora possibile percorrere vie sconosciute, rendendole solo nostre: sono convinta infatti che oggi le grandi esplorazioni debbano essere anche e soprattutto interiori.”