Melonpan e tè verde e poi via, perché Tokyo ci aspettava. Era presto quando abbiamo lasciato l’ostello. Lungo il viale che porta al Senso-ji non c’era nessuno: sembrava un fiume in secca, privo di tutta quella gente che il giorno precedente, nel pomeriggio, passeggiava, fluiva. Il portone del tempio infatti era ancora chiuso, come i negozi del quartiere. Ci trovavamo davvero in una metropoli da 37 milioni di abitanti? Dove erano finiti tutti quanti?
Asakusa, Ginza Line, Exit 4. Appena scorto il cartello che ci segnalava l’accesso a quel mondo sotterraneo fatto di treni e trenini, ci siamo rese conto che lì qualcosa si muoveva e probabilmente già da un po’. Come i giapponesi ci siamo messe in fila e come loro abbiamo aspettato il nostro turno per salire sul primo vagone che si è fermato, senza fretta, senza essere spinte.
Tanti uomini, tante donne. Chi in giacca e cravatta, chi in tailleur, chi no. Tutti in silenzio. Qualcuno aveva lo sguardo perso nel vuoto, qualcuno nello schermo del
proprio smart phone, qualcun altro invece gli occhi li aveva proprio chiusi, cullato dal movimento meccanico ma probabilmente ormai familiare della
metropolitana.
Tsukiji Shijo, Tsukiji Shijo. Era la nostra fermata, quella annunciata dall’unica voce – bilingue – che aveva il diritto di disturbare quel dolce fluire. Eravamo a pochi passi dal mercato ittico più grande del mondo, lo Tsukiji appunto. Quel tipico odore di pesce, di alghe, si sentiva già lungo le vie che si diramano dalla stazione. Non era tuttavia così pungente come credevo, non arrivava ad essere nauseabondo come mi avevano raccontato.
Calamari secchi. Piovre quasi fluorescenti. Cozze giganti e molluschi mai visti prima. Tranci di salmone e di quel pregiato tonno rosso che forse è il caso di non mangiare. Di tutto e di più abbiamo visto quella mattina, anche creature marine di cui ignoravamo l’esistenza e che mai abbiamo immaginato.
I mercati spesso mi piacciono più per le persone che ci lavorano che per le merci in vendita, per quel brulicare che mi rivela attimi di una quotidianità che difficilmente altrove, soprattutto nelle grandi città, riesco a cogliere.
E lì, allo Tsukiji, in un disordine che sembra quasi fuori luogo, tra scatole di polistirolo, secchi di plastica e carretti che raccolgono quelli che sono gli scarti del giorno, abbiamo scorto loro: una ragazza nei suoi stivali di gomma, un anziano signore con il suo grembiule di fronte ad una vecchia bilancia e tutti quei giapponesi con uno straccio legato attorno alla testa ed un coltello in mano, indice di un’antica maestria.
Il pomeriggio abbiamo lasciato le bancarelle e gli stand del mercato, per raggiungere Ginza, il quartiere commerciale per eccellenza. In poche decine di minuti,
sulle nostre gambe, siamo uscite da quel Giappone che non mi aspettavo e che mi ha fatto pensare ad un’Asia che ancora non conosco, per continuare a scoprire
quello che invece immaginavo, in tutta la sua modernità architettonica. All’improvviso ci siamo infatti ritrovate tra altissimi grattacieli e vetrine dove in vendita ci sono solo abiti firmati dei marchi più rinomati.
E poi, dopo esserci spinte fino al Palazzo Imperiale, non ne avevamo ancora abbastanza. La giornata non poteva concludersi così. Era come se a distanza di così poche ore dal nostro arrivo nel Paese del Sol Levante, fossimo divenute parte di quel flusso incessante ed evidentemente travolgente di persone, di treni e trenini. E così non siamo riuscite a fermarci, esattamente come i giapponesi che sembrano sempre correre di qua e di là.
Shinjuku, sì il quartiere di Shinjuku: era lì che dovevamo andare. Tokyo, infatti, nella sua più palese vastità, ci aspettava sulla terrazza panoramica del Metropolitan Government Office. Lì, pur mantenendosi ad una certa distanza, ci ha mostrato il suo volto, interamente: una distesa di grattacieli, all’apparenza senza confini.
Poi più tardi, tra le luci, quelle della sera, quelle colorate e strabilianti dei palazzi del quartiere, siamo riuscite a cogliere più da vicino solo un altro degli scorci del volto di Tokyo, che come una geisha si nasconde dietro un ventaglio e si fa conoscere solo da chi è disposto a seguirla. O forse dovrei dire a fluire.




Il post ti è stato utile? Ti è sembrato interessante? Perché non metti mi piace alla pagina facebook di My way around the world?