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In viaggio verso Rio Dulce ho conosciuto Rosalind o meglio Rosy.

Poco dopo averla incontrata mi ha detto: <<Amo il Guatemala!>>. E così ho capito che non era un caso che negli ultimi due mesi avesse attraversato il Paese in lungo e in largo e che continuasse a passare e ripassare anche là dove era già stata.

In un altro momento mi ha poi confessato che dal secondo anno delle scuole superiori sognava di viaggiare in Guatemala ovvero da quando era tornata da un soggiorno studio che evidentemente non le aveva lasciato solo nozioni di grammatica spagnola.

<<In due mesi il Guatemala lo impari a conoscere proprio bene!>>, pensavo tra me e me, ascoltando le sue parole mentre apprendevo che si sarebbe fermata altri trenta giorni, perché quel suo amore voleva viverlo fino in fondo.

Credo che la maggior parte delle persone che ho conosciuto in viaggio in tre mesi avrebbe attraversato tutto (o quasi) il Centro America. E’ bello sapere però che c’è anche chi si innamora di un Paese e non vuole più lasciarlo.

Il giorno dell’arrivo a Rio Dulce, dopo esserci sistemate al Tortugal, abbiamo deciso di percorrere il breve sentiero che collega l’eco-lodge al centro abitato: è stato bellissimo trovarsi in mezzo alla foresta, tra palme, altre piante tropicali, fiori e farfalle.

L’incanto però è svanito presto. Una volta incrociata la strada, ci siamo infatti imbattute in intere famiglie che sottraevano alberi a quel angolo di paradiso…

Raggiunto il centro abitato, il trambusto creato dall’incessante andirivieni di mezzi e persone ci ha letteralmente spiazzate, tanto da spingerci a trovare rifugio in una via defilata sul fiume, non lontano dal molo del Sundogs’s, locale prediletto di tutti i backpacker che finiscono a Rio Dulce.

Anche lì, comunque abbiamo trovato un certo fermento: sulle barche ormeggiate si caricavano e scaricavano merci in continuazione. Mentre Rosy rifletteva sul fatto che anche sulla sua isola, in Alaska, ci sono tante barche ma che la gente le usa prevalentemente nel tempo libero, io pensavo che in fondo già sapevo che il Guatemala è un unico grande mercato (come vi ho raccontato in Il MERCATO GUATEMALA e Chichicastenango).

A pochi metri da noi c’erano dei bambini che si divertivano pescando. Mettevano il loro bottino in un secchio, ignorando che un gatto dal pelo rosso si stava già leccando i baffi ed era pronto per un agguato. E’ incredibile come in viaggio riesci a cogliere tanti semplici momenti di vita quotidiana che a casa trascureresti: i sensi improvvisamente si svegliano e tu cogli di più, di te e degli altri.

Quella sera, in quella che si può definire come open air accomodation, in un comodo letto protetto da una zanzariera, mi sono data alla scrittura, ispirata dal fruscio dell’acqua e dal verso delle cicale. Ecco, non potevo chiedere posto migliore per rilassarmi e raccogliere le idee, che quando si è dal altra parte del mondo letteralmente affollano la mente.

Il giorno successivo Rosy mi ha proposto di usare i kayak messi a disposizione degli ospiti. In realtà era da quando ancora lavoravo in azienda che l’idea di andare in canoa mi passava per la testa: in primavera e in estate infatti trascorrevo la mia pausa pranzo sul fiume Adda e vedevo gente che remava, su un corso d’acqua che ha un’irruenza ben diversa rispetto al Rio Dulce.

Senza esitare ho dunque accettato la sua proposta, certa che avrei subito compreso come muovermi. Ed effettivamente, senza grande fatica, siamo arrivate fino al Castillo de San Felipe, costruito dagli spagnoli in epoca coloniale per respingere gli attacchi dei pirati. Raggiungere la fortezza in quel modo per me è stato molto emozionante e mi sono subito ripromessa che avrei assolutamente dovuto ripetere l’esperienza, chiaramente in un contesto diverso.

Anche Rosy quel giorno si è emozionata: di fronte a quello che è poco più di una fortezza i suoi occhi si sono letteralmente illuminati, perché prima di allora non avevano mai visto nulla di simile. Considerando la sua giovane età e il fatto che vive lassù, in quello che è lo stato più settentrionale degli USA, credo non sia affatto strano. D’altronde la percezione della realtà è strettamente legata al nostro vissuto e ciò che non conosciamo ci sorprenderà sempre più di ciò che invece ci risulta noto!

Poi è arrivato il giorno della navigazione fino a Livingston, villaggio affacciato sul Mare dei Caraibi, abitato dai garifuna, i discendenti degli schiavi giunti in Guatemala dall’Africa ormai molti secoli fa.

La barca con la quale abbiamo navigato sul Rio Dulce, fino alla sua foce, era di Cesar, un signore di mezza età che io e Rosy abbiamo incontrato prima di muoverci verso il Tortugal, al nostro arrivo.

Quando è venuto a prenderci ci ha accolte con un’ironia che credo sia tutta guatemalteca: <<Questo è un giorno speciale! Oggi piove, mentre ieri e l’altro ieri c’era il sole!>>, ci ha detto, cercando di sdrammatizzare il fatto che il meteo non fosse proprio favorevole.

Passati sotto l’orribile ponte che collega le sponde del fiume, sembrava che le nuvole volessero lasciare spazio a qualche flebile raggio di luce. All’improvviso però ha ripreso a piovere, più forte di prima. Ad un certo punto non vedevo più nulla, perché le lenti dei miei occhiali erano appannate da mille gocce d’acqua. Le parole di Rosy però le sentivo molto chiaramente: <<Sono tornata a casa? Sulla mia isola piove sempre così!>>.  

Proprio mentre iniziavo a pensare che fosse stata una cattiva idea quella di volersi spingere fino a Livingston a tutti i costi, un’altra schiarita. Mangrovie e diverse piccole isole sono apparse nel tratto in cui il fiume si allarga, chiamato El Golfete, oltre a qualche pellicano infreddolito. Poi le casette costruite sulle sponde del fiume, abitate da famiglie di pescatori, che abbiamo incontrato lungo il tragitto, nelle loro canoe. E quindi le alte pareti del canyon scavato dal fiume, ricoperte da una fitta vegetazione tropicale.

Scorti i primi gabbiani, abbiamo intuito che il mare doveva essere vicino, così come la nostra meta, sulla quale posso dire ben poco perché ci abbiamo trascorso solo poche ore, prima di tornare indietro, sulle note di Cesar che intonava O sole mio

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Vi lascio anche questo link: Perchè andare a Rio Dulce?

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2 Replies to “I miei tre giorni a Rio Dulce…”

  1. Interessante il tuo racconto! Potrebbe interessarti il mio blog dove viaggio anch&#39;io ma con taccuino e matita disegnando nei luoghi che visito. schizzidiviaggio.blogspot.it/
    ciao
    Susanna Casale

  2. Ciao Susanna! Scusa se rispondo solo ora al tuo commento, ma quando mi hai scritto ero in viaggio e da quando sono tornata, due settimane fa, non mi sono fermata un attimo, perché sto traslocando… Passerò certamente dal tuo blog! Sai che tra le mie passioni c&#39;è anche il disegno? 🙂 A presto, Mery

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”In un’epoca in cui viaggiare è prerogativa di molti, credo che sia ancora possibile percorrere vie sconosciute, rendendole solo nostre: sono convinta infatti che oggi le grandi esplorazioni debbano essere anche e soprattutto interiori.”